Arezzo silura Camplone: per il nuovo allenatore tanti nodi da sciogliere
Sui social la condanna era già stata emessa anche prima della partita coi romagnoli e dopo lo 0-2 è stato un diluvio di commenti che forse hanno spinto la proprietà a rompere gli indugi ed a interrompere il rapporto con l’allenatore ed il suo staff. Per quanto si registra, in pole per il subentro ci sarebbe Roberto Stellone, ex compagno di squadra di Muzzi a Torino. Del resto la partita con i bianconeri è stata paradigmatica dell’attuale situazione in casa Arezzo. Dal punto di vista tecnico, la sintesi è tutta nella distanza tra le due affermazioni di mister Camplone nella conferenza stampa pre-gara e nel commento post-partita. Nella prima occasione, dichiarando “ora siamo una squadra”, ha dato la misura della sfiducia e dello stato d’animo con il quale ha guidato il gruppo che gli era stato affidato ad ottobre e nei limiti degli innesti via via effettuati. Poi dopo la gara ha ribadito che “se non si ragiona con una sola testa diventa un problema”, con ciò confermando da un lato che chi va in campo non rispetta i compiti assegnati a ribadire gli spifferi che da tempo circolavano in città circa una spaccatura nello spogliatoio e tra lo spogliatoio ed il tecnico. Anche per questo la conferma era parsa un po’ una forzatura e d’altro canto l’aspetto motivazionale era oggettivamente carente nel tecnico abruzzese, dato che questa squadra non morde, lotta poco e male e concede lunghe fasi della partita agli avversari. Non ha fatto eccezione il primo tempo contro il Cesena, quando i bianconeri hanno disposto con una certa facilità degli amaranto, affettando regolarmente la difesa ad ogni affondo, complice anche un assetto tattico infelicemente predisposto, senza un adeguato filtro in mezzo al campo. Paradossalmente, se il 3-5-2 adottato nella ripresa fosse stato applicato dall’inizio, rigorosamente con Di Paolantonio in campo e con le fasce laterali opportunamente presidiate ad impedire gli inserimenti dei romagnoli, con maggior densità in mezzo al campo a limitare il palleggio altrui, avremmo forse visto una partita diversa. Tant’è; abbiamo concesso palle gol e subìto due reti; entrambe, al solito, evitabili . A quel punto ai giocatori di Viali è bastato gestire la gara senza correre soverchi rischi, tanto più che senza Perez, infortunatosi subito, e con Carletti ancora in ritardo di condizione l’Arezzo non sapeva pungere. Bene l’esordio di Ventola ed almeno per un’ora quello di Di Grazia, ma di nuovo la gestione delle risorse lascia perplessi. Karkalis, col gruppo da due mesi, ha fatto malino a Ravenna e decisamente male col Cesena, tanto da essere sostituito dopo 35 minuti. A fine gara il mister aveva detto di averlo schierato “per dargli un’altra opportunità prima di lanciare Ventola”. Se l’italiano non è un’opinione, significa una bocciatura solenne per l’italogreco: ma allora perché è stato tesserato? E’ stato due mesi in gruppo, sarà stato studiato in allenamento prima di decidere di metterlo sotto contratto. Ora, dopo due mesi di prova, due ore di partita e 15 giorni dopo la firma, si arriva a dire sostanzialmente che è bocciato. Ma come si ragiona? E’ così che si fa calcio? E qui si arriva ai nodi della gestione societaria. Alla proprietà si deve dare atto di aver profuso importantissime risorse economiche, forse come mai è stato fatto da queste parti. Ma i soldi da soli non bastano. Ci vuole gente che sa di calcio e che non si improvvisa. Non basta aver tirato calci al pallone per sapere come si fa. Ci vuole gente che abbia un’idea di come si gestisce un gruppo, di come si guida e di come si debbano percepire al volo segnali e incertezze, fragilità e problematiche prima che diventino un fastello così aggrovigliato che poi trovarne il capo è impresa quasi impossibile. Adesso la scelta del nuovo allenatore, il terzo da inizio stagione (del resto tre sono state le squadre allestite e quindi il conto torna) non può essere assolutamente sbagliata. Serve un motivatore, uno che sappia fare gruppo stimolando l’orgoglio dei giocatori e trovando un assetto che sfrutti le qualità (che ci sono) e limiti i difetti (e purtroppo ci sono anche quelli). Cambiare era probabilmente necessario ed indispensabile, ma davvero ora non c’è tempo da perdere. Ci attendono le sfide contro Feralpi e Perugia. Per come stanno le cose adesso, tra 15 giorni rischiamo di essere ancora fermi al palo ed allora il dramma comincerebbe ad assumere contorni pesantissimi. Qui, come detto, si è rifatta la squadra tre volte, ma ancora una squadra non c’è. Della rosa estiva, ieri su 23 convocati ce n’erano 9 di cui tre in campo ed il resto in panchina. Perez e Altobelli, appena arrivati, si sono fermati per infortunio muscolare e viene fuori che sono “ricadute”. Domanda: si è valutata bene la condizione fisica dei due atleti al momento della scelta? Oppure Catanzaro e Virtus Francavilla sapevano di certe fragilità ed hanno lasciato partire i due (buoni) giocatori anche per questo? Perdura poi l’equivoco Cerci il cui atteggiamento sia in fase di riscaldamento (“operettistico”, l’ho osservato a lungo) che poi in campo dà la misura del distacco mentale di questo giocatore dal concetto agonistico e di gruppo. Mi pare evidente che, secondo il vecchio adagio, i soldi non stiano dando la felicità. Ciliegina sulla torta, poi, l’attacco ad alzo zero di Sabatino Selvaggio ai presunti infiniti torti arbitrali subiti dall’Arezzo da inizio stagione. Con il Cesena, nell’unico episodio dubbio (possibile tocco con il braccio di Steffè dentro l’area), le uniche proteste sono venute dalla tribuna, mentre in campo nessuno ha fiatato. In realtà non ricordo, a parte Pesaro, dove ci fu effettivamente da recriminare (ma poi che dire del generoso rigore contro il Legnago che ci fruttò il pari nel finale dell’ennesima partita mal condotta?), una direzione di gara vessatoria. Ricordo invece figuracce in serie dovute prima a giocatori inadeguati, poi ad amnesie difensive, quindi a scelte tattiche discutibili. Il fatto è che la barca sta affondando e le banconote non tappano le falle. Serve, e di corsa, un intervento artigianale, sul campo e fuori. Serve uno che abbia le palle e la voglia di infilare le mani nella melma e chiudere i buchi che numerosi si aprono qua e là. Dopo (e solo dopo) si potrà cercare di inseguire il miracolo d’una salvezza ad oggi lontanissima.