Dico basta
Ad Arezzo il Big Ben non c’è e dire che lo stop lo detta il campanile del Duomo, ma non fa lo stesso effetto. Il risultato però non cambia. Dopo oltre 50 anni da quell’Arezzo – Atalanta 2-1 (la prima partita di cui ho memoria, era il 14 dicembre 1969) di emozioni, di tifo dettato dall’orgoglio di appartenenza devo dire basta. Basta con lo stadio, basta con la studio di tabelle, rose, profili di carriera, tattiche e avversari; basta con i commenti ospitati dalla generosità dei blog informativi, basta con le interviste; insomma basta con l’Arezzo. E’ una decisione che mi fa sanguinare l’anima, ma che non posso non prendere dopo aver avuto modo di misurare come alla genuina passione di tanti, faccia riscontro una manipolatoria gestione dell’interesse personale da parte di altri. Non parlo qui di chi viene da fuori, come l’attuale proprietà della S.S. Arezzo. Quella forse resta o forse va, come tante altre nel passato e che nel durante persegua fini propri lo trovo persino naturale, anche se poi questi fini magari passano attraverso un tourbillon di società e scatole cinesi che partono da Roma e finiscono in Slovacchia (lo rivelerebbero le più recenti indagini sui sito delle Camere di Commercio se solo qualcuno le andasse a leggere). Ciò che mi ha stupito, addolorato, fatto imbestialire al punto di decidere di prendermi un periodo sabbatico di durata indefinita, è invece l’atteggiamento di tanti che dovrebbero avere a cuore l‘Arezzo in maniera disinteressata e appassionata. Proprio nella nostra città era nato il progetto di Orgoglio Amaranto, per vigilare sull’operato delle proprietà e tutelare il sentimento e l’interesse del patrimonio sportivo cittadino. E proprio questo è quello che in questi ultimi anni (e non mi riferisco solo agli ultimi due) ho progressivamente visto bestemmiato e manipolato; proprio a causa di questo ho cominciato a trovare le risposte che spiegano perché siamo e resteremo la “cenerentola” delle squadre toscane, sempre lontani da palcoscenici importanti. Dal servilismo d’accatto verso il potente del momento anche se si chiamava Matteoni (e bastava guardarlo senza filtri d’interesse per capire che si trattava di una “sòla” come dicono dalle parti sue); ai complotti dietro le quinte anche nell’anno del sogno promozione, in odio (disaccordo o contrasto sarebbero qui eufemismi inadatti) all’allora Direttore Generale; fino alla manipolazione di fatti e notizie sempre e solo a senso unico ed a dispetto anche di evidenze pubblicate su tutta la stampa locale (cito, solo come esempio, l’iscrizione alla Lega pro 2020-2021 ). E che dire del passaparola sullo “sprofondo” economico della gestione La Cava? Niente che abbia trovato conferma nei numeri e nelle carte. Taccio per carità di patria sulla riconoscenza per me dovuta verso chi si prodigò per farci uscire dal pantano in cui ci aveva cacciato Ferretti, ma può anche darsi che sia solo un’opinione. Dall’agosto 2020 poi in un ulteriore “salto di qualità”: è diventato reato di lesa maestà mettere in dubbio origine, operato e scelte dei vertici societari. Ed il bello (anzi il brutto) è che la dirigenza a lungo non ha sollevato obiezioni alle critiche fornendo la propria versione dei fatti, mentre le levate di scudi, le omissioni, gli sguardi obliqui venivano proprio da parte di coloro che avrebbero dovuto, dovrebbero avere quale unica bussola da seguire l’interesse, il presente ed il futuro dell’Arezzo calcio. Ecco allora gli attacchi personali, le accuse (ridicole) di essere al soldo di questo o di quello, di “gufare” contro i colori amaranto. Ora: sarà l’età, sarà una sopraggiunta permalosità senile, ma Il ruolo del “sopportato” mi infastidisce e, come recita l’antico adagio, non ho intenzione di rimanere in paradiso a dispetto dei santi; ammesso che quello che ci è toccato sciropparci sia stato il paradiso e che si abbia a che fare con dei santi. Ho riscontrato, riscontro, una diffusa mancanza di onestà intellettuale, un atteggiamento di ingiustificata superiorità, una distorsione dei fatti e delle evidenze, una confusione tra i ruoli di controllore e quello di socio operativo che non mi piacciono né mi fanno presagire nulla di buono. Esempi: un paio e non di più (fa solo male): perché per conoscere i dati di bilancio si è dovuto attendere che fossero prima da noi pubblicati? Cosa c’era da difendere, da nascondere, da coprire? Non sarebbe nel ruolo e nei compiti di OA tenere informati non solo gli iscritti ma tutti i tifosi sullo stato dell’arte dei conti societari? Poi sarebbero seguite ugualmente rassicurazioni e copertura delle perdite (che, ricordo, è da completare) forse però con maggior celerità, sapendo di avere il fiato sul collo di controllori attenti. Perché nessuno (ad eccezione del buon Massimo Gianni, compagno di impropreri) ha chiesto conto della ricca liquidazione del contratto di Alessio Cerci (spesato sui conti societari) una settimana prima che l’inglorioso pomeriggio di Cesena sancisse la rescissione non onerosa dei contratti professionistici? Siccome ho sempre cercato accuratamente di evitare la consegna del cervello all’ammasso e quando vedo o mi capita di scoprire qualcosa che può danneggiare l’amata bandiera non riesco proprio a far prevalere l’indifferenza, diventa difficile proseguire serenamente, non solo a tifare, ma anche e soprattutto nel lavoro di commento e analisi che fino ad oggi ho svolto, cercando sempre conforto nei fatti più che nelle opinioni, nei numeri più che nelle sensazioni. Il mio cuore è e resterà amaranto per sempre, ma per ora basta: mi metto da parte. Ringrazio il direttore Guido Albucci che mi ha sempre lasciato la massima libertà nell’esprimere opinioni e commenti, i colleghi e la redazione di Arezzo 24 che mi hanno supportato e sopportato. Ai fratelli amaranto, quelli ai quali non interessa sfilare in tribuna, che non vendono il cuore per uno strapuntino in prima fila, quelli per i quali l’amaranto è un concetto onnicomprensivo ma non interessato, un abbraccio e un grosso in bocca al lupo. Ci rivedremo, un giorno, sui gradoni della “Minghelli”.