Eppure non può finire così

La partita di ieri sera ha dato un’ulteriore mazzata a tutto l’ambiente, perché se perdi contro le big (anche se malamente come accaduto a Perugia) una spiegazione cerchi di dartela, ma se alzi bandiera bianca anche contro il Gubbio ti cascano le braccia e pure qualcos’altro di molto caro un po’ più in basso. Sia detto ben chiaro, tutto il rispetto per la formazione eugubina che non solo non ha rubato niente, ma ha ampiamente legittimato il successo con una condotta di gara attenta, ordinata, centrata sui suoi punti di forza (che bravo Pasquato!). Il problema è che, per l’ennesima volta, è mancato l’Arezzo. Dopo i primi dieci minuti di foga forsennata ma sconclusionata, la squadra si è progressivamente spenta, sciolta, arresa. I ritmi sono calati vistosamente e le giocate sono state sempre e solo prevedibili tentativi di buttarla in avanti o sterili e stantii scambi per linee orizzontali, nell’intento vano di chiamare fuori l’avversario, di trovare un varco. L’idea può avere un senso, ma solo se riesci ad alzare i ritmi e creare superiorità anche affrontando l’uno contro uno (non a caso l’ingresso di Cutolo ha un po’ ravvivato la manovra, ma intorno a lui c’era davvero poco). Si potrebbe stare qui a ragionare della formazione con la quale abbiamo iniziato, del fatto che Arini e Altobelli marciano a velocità “bradipitica” lasciando vuoti enormi davanti alla difesa, che Benucci sulla fascia s’arrabatta ma non ci tira fuori granché e Di Paolantonio defilato sulla sinistra perde senso tattico e spazio per il palleggio. Poi che Kodr e Sbraga a dispetto del fisico e dell’esperienza vanno in ambasce ogni volta che la palla danza davanti alla nostra area e che Luciani pare ormai votato allo sterile podismo, mentre Ventola va bene dal centrocampo in su, ma in copertura è un brivido costante. Tutto vero, così come l’amara constatazione che la squadra pare non avere anima, né cuore, né cervello, giacché certe amnesie in campo palesano uno stato di concentrazione relativa. Questo organico comunque non può valere 10 punti in 22 partite: uno degli attacchi meno prolifici del girone e la peggiore difesa del calcio professionistico dopo quella del Crotone (che però sta in A e di gol ne ha fatti 4 più di noi). Siamo l’unica squadra delle 5 serie professionistiche ad aver vinto una sola partita da inizio stagione. Numeri impietosi. Abbiamo già cambiato tre allenatori ed un numero inverosimile di giocatori, spendendo cifre importanti che appesantiscono la gestione anche in prospettiva. E allora dove sta “il baco”? La situazione generale riconduce ad una impostazione a dir bene superficiale (a dir male supponente) dell’area tecnica. Non vale parlare di inesperienza, perché se l’attenuante può starci per la proprietà, non è spendibile per chi, come Roberto Muzzi, nel calcio c’è da una vita, né per chi si era presentato come un profondo conoscitore del settore come Riccardo Fabbro e nemmeno per un direttore sportivo con trascorsi anche da calciatore di un certo livello come Di Bari. Loro dovevano sapere cosa serviva e come approcciare ad una stagione sia pur di transizione; nessuno chiedeva la luna, ma nemmeno nessuno si attendeva il baratro già spalancato sotto i piedi a 16 partite dalla fine. Invece si è fatta tanta, troppa confusione, in un tourbillon di giocatori conquistati con allettanti contratti pluriennali, ma forse nemmeno ben esaminati prima della scelta (Perez, per dire, veniva da altri infortuni muscolari e non a caso gettato nella mischia è durato 25 minuti e sappiamo bene quanto ci manchi un finalizzatore del non molto gioco che si riesce a fare), senza curare gli equilibri di gruppo, alimentando alibi veri e fasulli (dal Covid all’attacco a testa bassa la classe arbitrale come se 14 sconfitte su 22 partite fossero colpa delle ex giacchette nere). Adesso siamo qui, con un piede nella fossa della serie D a cercare di aggrapparci al pessimismo della ragione ma all’ottimismo della volontà, purché ce ne sia ancora.

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