Le mille vite di un dirigente di calcio

Uomo di calcio e di campo, aveva costruito il Perugia delle meraviglie di Gaucci, scoprendo calciatori con i quali manteneva spesso un rapporto  solido attraverso gli anni. Aveva portato l’Ancona in A ed era finito nella bufera dopo il fallimento del club marchigiano, con accuse anche pesanti dalle quali era però uscito prosciolto. Ad Arezzo il suo nome è legato agli anni d’oro della presidenza Mancini, con la squadra mai così vicina alla conquista del grande sogno. Era poi tornato come salvatore della patria nei mesi bui dell’era post-Ferretti con il fallimento dietro l’angolo e la squadra fermata dalla lega calcio. Lui aveva portato ad Arezzo Giorgio La Cava ed insieme avevano creato i presupposti per vincere la “battaglia totale” e l’anno dopo per arrivare ad un passo dalla serie B. Personaggio dal carattere forte, per questo osteggiato o amato in egual misura, Ermanno Pieroni vantava una rete di relazioni importante nel calcio che conta, era ascoltato e considerato da club come Inter e Fiorentina, aveva in agenda i numeri di gran parte del calcio italiano, ma soprattutto era uno che sapeva di pallone. Certamente il mestiere che faceva, quello di diesse prima e di direttore poi, prestava il fianco alle critiche ed ai sospetti che quasi sempre accompagnano chi svolge quella professione. La differenza fondamentale tra Pieroni e molti altri era che le sue squadre sul campo raramente fallivano la stagione. Ad Arezzo e per l’Arezzo, ha fatto molto, troppo spesso nell’irriconoscenza se non addirittura nel vilipendio di una città che per incapacità di saper pensare in grande si ostina a coltivare piccoli orticelli personali a livello di sussistenza. Per quel poco che l’ho conosciuto posso dire di averne apprezzato la grande professionalità, la capacità di saper coinvolgere i calciatori nel progetto della società, il sogno di poter  fare qualcosa di importante anche con i colori amaranto. Ti sia lieve la terra, Direttore.

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