Una partita da vincere, l’ennesima pareggiata. Restano 90 minuti di passione per altri 180 da soffrire

Va detto che i romagnoli, a dispetto della classifica e dei molti problemi di organico, hanno fatto la loro partita in maniera più che decorosa, facendosi anzi preferire agli amaranto in fatto di corsa e di organizzazione di gioco. I limiti dei giallorossi sono parsi evidenti quando l’Arezzo ha provato ad accelerare, quando ha spinto con più decisione in area avversaria ed allora è stato il solo Tomei, protagonista negativo in occasione del pareggio di Di Paolantonio (goffo e scomposto l’intervento che ha propiziato il rotolamento in rete del pallone) a negarci i tre punti. Va anche detto però che al minuto 42 solo una provvidenziale “toppa” messa da Luciani ha evitato che un contropiede ospite fruttasse un letale raddoppio del Ravenna, un gol che ci avrebbe spedito dritti all’inferno. Restano dunque ancora 90 minuti di passione prima di sapere se ne avremo altri 180 da soffrire per guadagnarci la permanenza in categoria e andremo a giocarceli domenica prossima alla “Fiorita” di Cesena. Restano, al fischio finale, i rimpianti per le 4/5 palle gol nette non concretizzate nel secondo tempo, ma anche il solito rosario di dubbi legato al gioco ed all’assetto tattico della squadra, ragionamenti che valgono sia nella prospettiva della prossima partita contro i bianconeri di Viali, che in ottica (probabili) spareggi salvezza. In trentasette partite solo una volta abbiamo visto la squadra giocare aggressiva, rabbiosa, determinata a centrare il risultato ed è stato contro la Vis Pesaro. Per il resto, anche cancellando per carità di patria la parte ascendente del campionato, l’atteggiamento è sempre stato piuttosto compassato, non propositivo. Sul piano fisico-dinamico quasi tutte le avversarie hanno fatto meglio di noi, sul piano dell’organizzazione del gioco, anche. Senza fare cose trascendentali, dall’altra parte del campo si è quasi sempre vista un’idea di come stare in campo, idea che all’Arezzo ancora manca. Si va avanti a sussulti, contando sulle qualità dei singoli che riescono ad inventarsi la giocata, ma di azioni corali, di copertura del campo, di schemi di impostazione non se ne parla. Abbiamo rinunciato a ripartire dal basso per i troppi rischi che si corrono in fase di palleggio e per l’endemica lentezza della nostra mediana, ricorrendo ai lanci lunghi sui quali diventa essenziale essere pronti a sfruttare le seconde palle; che però quasi sempre perdiamo. Stellone insiste sul centrocampo a tre, che, qualunque ne sia la composizione, risente del passo lento dei suoi componenti e finisce con il regalare metri agli avversari senza essere né propositivo (troppo spesso lontano dalle punte) né di copertura (gli avversari sono più veloci e ci sfilano davanti). Regalare la zona nevralgica del campo (così si diceva una volta ed un motivo doveva esserci) agli avversari ci espone a rischi e ci limita nella proposta del nostro gioco. Sarà un caso, ma la prestazione migliore in assoluto l’abbiamo fatta con il centrocampo a 5 e poi anche a Legnago la squadra è cresciuta ed ha preso in mano la partita quando siamo passati a 4 in mezzo al campo. Fossimo ad inizio stagione direi che c’è molto da lavorare, ma siamo alla fine e dobbiamo aggrapparci a quel che si può per cercare di restare dentro il calcio che conta almeno un po’. Quindi a Cesena: coltello fra i denti.

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