Arezzo, la speranza di cavarne le gambe ha percentuali bassissime

L’avversario sembrava tagliato su misura come il vestito cucito da un sarto esperto. Il Carpi arrivava al Città di Arezzo in un periodo tribolato, in piena crisi societaria e reduce da tre sconfitte consecutive, l’ultima delle quali con un punteggio tennistico (6-0 per il Padova). Una partita da giocare con il coltello tra i denti, prendendo a morsi l’erba del comunale e, se necessario, anche l’avversario. Invece abbiamo assistito al solito festival degli orrori, al solito repertorio fatto di passaggi sbagliati, ritmo basso, scarsa incisività in attacco e sconcertanti amnesie difensive. Abbiamo subito tre gol da gonzi, il secondo in particolare da dilettanti allo sbaraglio, a difesa schierata e sugli sviluppi di un calcio da fermo. Vedere il pallone attraversare lentamente tutto lo specchio della porta senza che nessuno dei tre difensori schierati intervenga è inconcepibile, un errore che ci è costato il gol del temporaneo 2-1 degli ospiti, che farà poi la differenza al novantesimo tra il vincere e il recriminare. L’Arezzo ha subito la bellezza di 49 reti in 24 incontri, qualcosa più di due gol a partita. Un solo match vinto, per il resto lo score parla di 14 sconfitte e 9 pareggi. Numeri impietosi. Il problema è che nulla sembra scuotere questa squadra, neanche il terzo cambio in panchina ha portato i benefici sperati. Ultimi con 5 punti di ritardo dal Ravenna, se finisse oggi sarebbe retrocessione diretta senza possibilità di appello, una beffa atroce dopo l’enorme sforzo finanziario della proprietà alla quale tutto si può rimproverare, ma non di aver lesinato denari. Siamo a febbraio, l’Arezzo avrebbe ancora a disposizione 14 partite per raddrizzare la baracca, alzare bandiera bianca a tre mesi dal termine del campionato è inaccettabile. La squadra adesso è composta da giocatori esperti e di valore, ingaggiati e convinti a sposare il progetto con contratti sostanziosi. Il campo invece racconta tutt’altro e la speranza di cavarne le gambe ha percentuali bassissime. Emblematico quanto accaduto ieri intorno al quarantunesimo minuto dopo il gol del 3-3, con il portiere avversario a terra infortunato, i sanitari emiliani in campo e Pochesci che approfitta del gioco fermo per operare il quinto e ultimo cambio senza prima verificare la reale entità dell’infortunio dell’estremo difensore. Morale della favola: il Carpi ha giocato gli ultimi 8 minuti in dieci con un attaccante in porta, uno psicodramma che quasi sempre viene pagato con una sconfitta. Il jolly però non è stato sfruttato, gli uomini di Stellone non sono stati capaci di tirare una sola volta in porta negli otto minuti rimanenti, a dimostrazione di quanta poca grinta e determinazione abbia questa squadra. Probabilmente andremo in serie D, però una cosa la chiediamo: risparmiateci Cerci, un uomo che ha inesorabilmente oltrepassato il viale del tramonto, uno che entra in campo nel momento topico del match con la stessa determinazione di un impiegato che è appena uscito dal turno di lavoro e si porta dietro la borsa per andare a giocare a calcetto con gli amici, non per amore dello sport, ma solamente per evitare di tornare a casa dalla moglie che gli tartassa il sistema nervoso. Come scriveva Sant’Agostino “la speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle”. Ad maiora.

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