Arezzo, “l’Album delle figurine”
Ma è mancato tutto, ancora una volta in questa stagione nata male e finita peggio. Ora sentire dalle parole del direttore generale Manzo che la proprietà intende restare e rilanciare fa sicuramente piacere, ma la difesa senza tentennamenti dell’operato di Muzzi, il suo porlo “al centro” del progetto, lascia perplessi i più (e arrabbiati assai gli altri). Se sono poche le responsabilità che gli possono essere ascritte per l’insensata campagna acquisti estiva (qui pesano, eccome, le responsabilità della proprietà, che ha lasciato campo libero al duo Fabbro-Di Bari senza verificarne l’operato se non quando ormai era troppo tardi), tutto il resto della stagione, con le conseguenti scelte, ricadono nel campo operativo dell’ex attaccante di Roma e Cagliari. Ha ragione Manzo quando sostiene che i calciatori arrivati erano, sulla carta, profili in grado di risollevare la squadra dall’abisso, ma in molti casi erano per l’appunto nomi sulla carta e basta e comunque l’allestimento della rosa non è stato esente da errori. Dopo il dispendiosissimo mercato di gennaio, ci siamo ritrovati senza un terzino di ruolo a destra, costringendo i tecnici ad inventarsi alchimie per andare a tamponare la falla. Il centrocampo ricordava sinistramente il “trio moviola” con il quale, negli anni che furono. venne etichettato quello milanista composto da Capello, Rivera e Biasiolo e pressoché ogni avversario ci ha dominato per dinamismo nella zona nevralgica del campo. Peggio che mai se si parla dell’attacco: infortunato e perso Pesenti si poteva e doveva cercare una punta da area di rigore, uno pronto da gettare nella mischia perché di gol ce n’era bisogno come il pane. E invece Carletti è arrivato in condizione fisica impresentabile, Perez non è una prima punta ed è bastato vederlo giocare mezz’ora per accorgersene. Si potevano fare valutazioni diverse? Queste scelte chi l’ha fatte? E’ questo, se non fosse chiaro, quel che i tifosi rimproverano a Muzzi ed alla sua gestione. Questo e l’incapacità palese di creare un ambiente, un clima, un comune sentire che guidasse il gruppo nella difficile ma non impossibile corsa verso la salvezza. Eppure lui è stato anche un calciatore di buon livello e dovrebbe sapere l’importanza di certi sottili equilibri di spogliatoio, tra spogliatoio e società, tra società e tecnico. Guidare una squadra non è solo buttarci soldi dentro e fare “l’Album delle figurine” per allestire una rosa; guidare una squadra è saper essere vicini quando serve, duri quando serve, psicologi anche e saper capire gli uomini prima dei calciatori. Da qui passano i successi, le imprese come quella di Pavanel che tutti abbiamo nel cuore o i bei campionati come quello del piccolo Matelica di quest’anno. Tutto questo è mancato totalmente. Oppure è stato sbagliato totalmente. In entrambi i casi basta e avanza per chiedere che si cambi rotta e ci si affidi a chi sa, al contrario mi pare che ci si avvicini ad una posizione alla Ferretti, o se preferite alla Marchese del Grillo: “io so io e voi nun siete un cazzo”. Prospettiva pericolosa, che fa tremare i polsi per il futuro amaranto.