Inchiesta Keu, c’è veleno. 26 indagati, l’inchiesta tocca i colossi aretini dell’oro
Il caso Keu era deflagrato nell’aprile di un anno fa (ma le indagini erano partite a maggio 2018) con una raffica di misure cautelari e perquisizioni. In totale, all’epoca, 23 arresti e decine di indagati a vario titolo, 60 perquisizioni nelle province di Firenze, Pisa, Arezzo, Crotone, Terni e Perugia, sequestri pari a 20 milioni di euro. In Toscana una persona finì in carcere, 5 ai domiciliari, 7 interdetti dall’attività imprenditoriale e 19 indagati, fra cui esponenti politici e dirigenti di enti pubblici. “Quello che si è venuto a creare negli anni è un vero e proprio sistema”, ebbe a dire il procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo.
La chiusura delle indagini
La conferma arriva dagli avvisi di chiusura delle indagini, notificate ieri, giovedì 24 novembre. Due i filoni: il primo filone riguarda sei aziende e ventisei persone tra dirigenti di enti pubblici, politici e imprenditori collegati alla ‘ndrangheta del clan Gallace di Guardavalle. L’accusa è di associazione a delinquere finalizzata aL traffico illecito di rifiuti e inquinamento ambientale, indebita erogazione di fondi pubblici e corruzione in materia elettorale. Per quest’ultimo episodio la contestazione è pervenuta al consigliere regionale Andrea Pieroni in quota Pd per un sostegno ricevuto dall’Assoconciatori per la corsa alle Regionali 2020. Il secondo filone riguarda la gestione dei rifiuti e coinvolge dodici persone, tra cui un dipendente regionale, imprenditori e persone del clan Gallace. L’accusa è estorsione illecita, concorrenza con minaccia e violenza aggravati dal metodo mafioso. La chiusura indagini è stata quindi notificata ai vertici dell’associazione conciatori di Santa Croce sull’Arno, colpiti da misure cautelari insieme all’imprenditore Francesco Lerose, componente di una famiglia calabrese operativa in Valdarno e considerata vicina alla cosca Gallace della ‘ndrangheta, alla sindaca di Santa Croce Giulia Deidda e a volti noti della politica toscana, come il consigliere regionale Andrea Pieroni. Coinvolti, tra gli altri, a vario titolo, Alessandro Francioni, presidente e membro del consiglio di amministrazione del consorzio Aquarno, Piero Maccanti, direttore fino al 2019 e membro del cda di altri due consorzi, Aldo Giozzi, direttore dal 2019. Accusato di corruzione Ledo Gori, che, in Regione per 20 anni a fianco di Enrico Rossi, venne prima confermato da Eugenio Giani, che poi gli revocò l’incarico ad aprile 2021, quando esplose il caso.
Il filone aretino
Nel filone aretino, le ordinanze di custodia cautelare riguardarono la “Lerose srl” di Levane: in carcere finì l’amministratore unico Francesco Lerose, 58 anni, residente a Pergine Valdarno e scarcerato ad agosto scorso, ai domiciliari la moglie Anna Maria, 48anni e il figlio Manuel di 27 anni, gestore dell’impianto di riciclaggio di inerti di Levane, ritenuti “a disposizione” del clan Grande Aracri di Cutro. A proposito dell’impianto di Levane, nel territorio del comune di Bucine: per gli inquirenti “16.308 metri quadrati dove sono state depositati 9.337 tonnellate di rifiuti di cui 2930 pericolosi“. Tra i progetti dei Lerose, l’interramento, in quel sito di stoccaggio, dei rifiuti provenienti dalla Chimet di Badia al Pino. Ma cosa sia accaduto a Levane lo scrive nelle ordinanze il gip del tribunale di Firenze Antonella Zatini: un vero e proprio “traffico organizzato di rifiuti presso l’impianto Lerose: la produzione degli aggregati e la abusiva declassificazione in materia prima seconda di materiali che conservano le caratteristiche del rifiuto e che vengono accumulati nei terreni limitrofi all’impianto in ingenti quantità con formazione di una discarica abusiva; traffico organizzato di rifiuti dei titolari dell’impianto Lerose con spandimento diretto in ambiente dell’aggregato riciclato non legato contaminato, abusivamente classificato materia prima seconda, in siti per recuperi ambientali e rilevati e in terreni agricoli. Con condotte abusive, consistite nel porre in essere un’attività di gestione di rifiuti difformi rispetto a quelli per cui l’impianto era autorizzato, ovvero senza alcuna autorizzazione allo smaltimento e senza una regolare procedura di autorizzazione al recupero ed in particolare ponendo in essere una continuativa attività di miscelazione abusiva di rifiuti industriali non pericolosi con altri rifiuti pericolosi per occultarne l’origine, anche in considerazione del fatto che l’impianto non era autorizzato a riceverli, e nell’ammassarli nell’impianto in grossi cumuli, dai quali i mezzi di trasporto li caricavano per poi trasferirli nel terreno agricolo adiacente come se fosse materiale inerte riciclato privo di alcuna contaminazione e idoneo a modellamenti morfologici o miglioramenti fondiari, mentre invece presentavano natura inquinante e rientravano in numerose classi di pericolosità”.
Nuovi sviluppi
Poi ci sono i nuovi sviluppi, che emergono dalle pagine di trasmissione di chiusura indagini e che riguardano lo smaltimento illecito di rifiuti scoperto dai Carabinieri Forestali e dal pm Giulio Monferini. Si tratta dei fanghi provenienti dal distretto orafo aretino, che venivano mescolati, sempre nell’impianto dei Lerose di Levane, nel comune di Bucine, ad altro materiale. Il composto finale veniva ceduto a ignari acquirenti come materia prima per attività edilizie: la costruzione di residenze, strade come la regionale 429 tra Empoli e Castelfiorentino, aeroporti. Niente di male, se non che in questi scarti è presente in gran quantità arsenico, boro e selenio. Un mix di veleni, insomma. Sotto inchiesta i vertici di due colossi nel settore del recupero materiali preziosi con sede nell’aretino, Chimet e Tca. E’ quanto emerge dall’avviso di conclusione delle indagini fatto notificare dalla procura ai 26 indagati per l’inchiesta Keu.
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